validità civile ed handicap
Invalidità civile: definizioni, minorazioni civili – definizioni, iter e accertamenti
L’ACCERTAMENTO DELLE MINORAZIONI CIVILI
L’invalidità è la difficoltà a svolgere alcune funzioni tipiche della vita quotidiana o di relazione a causa di una menomazione o di un deficit fisico, psichico o intellettivo, della vista o dell’udito.
L’esatta definizione di legge risale al 1971 (Legge 118/1971) ed è la seguente: “si considerano mutilati e invalidi civili i cittadini affetti da minorazione congenita e/o acquisita (comprendenti) gli esiti permanenti delle infermità fisiche e/o psichiche e sensoriali che comportano un danno funzionale permanente, anche a carattere progressivo, compresi gli irregolari psichici per oligofrenie di carattere organico o dismetabolico, insufficienze mentali derivanti da difetti sensoriali e funzionali che abbiano subito una riduzione permanente della capacità lavorativa non inferiore a un terzo, o se minori di anni 18, che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie dell’età.” L’invalidità è “civile” quando non deriva da cause di servizio, di guerra, di lavoro.
In linea generale l’invalidità civile viene definita in percentuale nel caso in cui l’interessato sia maggiorenne. Viene inoltre indicata la percentuale di invalidità per i maggiori di quindici anni ai fini dell’iscrizione alle liste speciali di collocamento ai sensi della Legge 68/1999. Ai soli fini dell’assistenza sociosanitaria e della concessione dell’indennità di accompagnamento, si considerano mutilati e invalidi civili i soggetti ultrasessantacinquenni che abbiano difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni proprie della loro età.
Il Decreto ministeriale 5 febbraio 1992 definisce le modalità per la valutazione dell’invalidità civile, della cecità civile e del sordomutismo, e indica le relative percentuali di riferimento. L’accertamento delle minorazioni civili è effettuato dalle specifiche Commissioni operanti presso ogni Azienda Usl. L’accertamento delle minorazioni civili viene effettuato con criteri diversi da quelli adottati per la valutazione dello stato di handicap ai sensi della Legge 5 febbraio 1992, n. 104 e produce un verbale di certificazione diverso.
Minorazioni civili – definizioni, iter e accertamenti
CECITÀ CIVILE: DEFINIZIONI
La cecità civile, assieme al sordomutismo e all’invalidità civile rientra fra le minorazioni civili e cioè quelle condizioni invalidanti non derivanti da cause di guerra, di servizio o di lavoro. La cecità civile viene definita in modo descrittivo, ma comunque codificato: cieco assoluto e cieco con residuo visivo non superiore ad un ventesimo in entrambi gli occhi. Sono considerati ciechi civili assoluti, le persone completamente prive della vista, oppure con mera percezione della luce o del movimento della mano (motu manu). Sono considerati ciechi parziali, le persone con un residuo visivo non superiore al totale di un ventesimo in entrambi gli occhi, o nell’occhio migliore, anche con eventuale correzione. Le minorazioni visive di minore entità possono invece rientrare fra le invalidità civili e quindi percentualizzate. Il Decreto ministeriale 5 febbraio 1992 definisce le modalità per la valutazione dell’invalidità civile, della cecità civile e del sordomutismo, e indica le relative percentuali di riferimento. L’accertamento delle minorazioni civili è effettuato dalle specifiche Commissioni operanti presso ogni Azienda Usl. L’accertamento delle minorazioni civili viene effettuato con criteri diversi da quelli adottati per la valutazione dello stato di handicap ai sensi della Legge 5 febbraio 1992, n. 104) e produce un verbale di certificazione diverso.
La Legge 3 aprile 2001, n. 138 ha indicato una nuova classificazione delle disabilità visive che considera sia il residuo visivo che il residuo perimetrico binoculare. Ne risulta una nuova distinzione: ciechi totali, parziali, ipovedenti gravi, medio-gravi e lievi. Oltre all’acutezza visiva, la nuova disposizione tiene in considerazione anche il campo visivo. La nuova classificazione è di natura tecnico-scientifica e non modifica la vigente normativa in materia di prestazioni economiche e sociali in campo assistenziale.
Riferimenti legislativi
Legge 10/02/1962 n. 66
Legge 27/05/1970 n. 382
Legge 29/02/1980 n. 33
Decreto Ministero Sanità 5/02/1992
Legge 3/04/2001 n. 138
SORDITÀ – SORDOMUTISMO: DEFINIZIONI
L’articolo 1 della Legge 20 febbraio 2006, n. 95 ha stabilito che in tutte tutte le disposizioni legislative vigenti, il termine «sordomuto» sia sostituito con l’espressione «sordo»
La medesima disposizione ha modificato la precedente definizione di «sordomuto», sostituendo l’articolo 1, comma 2 della Legge 26 maggio 1970, n. 381 con il seguente: «Agli effetti della presente legge si considera sordo il minorato sensoriale dell’udito affetto da sordità congenita o acquisita durante l’età evolutiva che gli abbia compromesso il normale apprendimento del linguaggio parlato, purché la sordità non sia di natura esclusivamente psichica o dipendente da causa di guerra, di lavoro o di servizio». Altre condizioni o patologie che siano causa di sordità o ipoacusia vengono valutate e percentualizzate come invalidità civili, non rientrando quindi nella categoria di “sordomutismo”. Il Decreto ministeriale 5 febbraio 1992 definisce le modalità per la valutazione dell’invalidità civile, della cecità civile e del sordomutismo, e indica le relative percentuali di riferimento. L’accertamento delle minorazioni civili è effettuato dalle specifiche Commissioni operanti presso ogni Azienda Usl. L’accertamento delle minorazioni civili viene effettuato con criteri diversi da quelli adottati per la valutazione dello stato di handicap ai sensi della Legge 5 febbraio 1992, n. 104) e produce un verbale di certificazione diverso.
SORDOCECITÀ: DEFINIZIONI
La definizione di sordocecità è la più recente fra quelle che riguardano le minorazioni civili, riconoscendo nella particolarità della doppia grave limitazione sensoriale una “disabilità specifica unica”. La disposizione di riferimento è la Legge 24 giugno 2010, n. 107.
La Legge 107/2010, all’articolo 2, definisce “sordocieche le persone cui siano distintamente riconosciute entrambe le minorazioni, sulla base della legislazione vigente, in materia di sordità civile e di cecità civile.”
L’articolo 3 precisa che “la condizione di sordocieco viene riconosciuta al soggetto che dall’accertamento risulti in possesso dei requisiti già previsti dalla legislazione vigente rispettivamente in materia di sordità civile e di cecità civile ai fini dell’ottenimento delle indennità già definite in base alle vigenti normative relative alle due distinte minorazioni.”
Ai ciechi totali viene riconosciuta l’indennità di accompagnamento, mentre ai ciechi parziali l’indennità speciale per i ciechi ventesimisti. Alle persone sorde prelinguali è riconosciuta l’indennità di comunicazione.
Il sordocieco è chi ha entrambe le minorazioni, con una connotazione così grave da poter ottenere entrambe le indennità: quella per cieco e quella per sordo.
Ricordiamo che l’indennità di comunicazione non spetta nel caso di sordità intervenuta in età matura. Viene concessa solo nel caso di sordità congenita o prelinguale.
La Legge 107/2010 prevede il cumulo e l’erogazione, in forma unificata, delle indennità derivati da cecità e sordità. Ciò era già previsto dalla Legge 31 dicembre 1991 n. 429 (articolo 2.1).
La novità introdottà dalla Legge 107/2010 prevede anche il cumulo delle altre provvidenze e cioè delle pensioni, oltre che delle indennità.
Quindi, il sordocieco percepisce oltre alle due indennità (di comunicazione e di accompagnamento) anche le due pensioni di cieco, parziale o totale, e per sordità prelinguale.
L’accertamento
Il Legislatore ha previsto che la valutazione della sordocecità sia effettuata dalla Commissione ASL prevista dalla Legge 104/1992. È una previsione molto inusuale e piuttosto strana. Infatti, quella Commissione di norma non viene chiamata ad accertare le minorazioni e, quindi, a definire i requisiti sanitari per l’ottenimento delle provvidenze economiche. Quella Commissione accerta l’handicap e non si esprime su altro. L’accertamento delle minorazioni civili spetta ad una Commissione formalmente diversa costituita ai sensi della Legge 15 ottobre 1990, n. 295.
Nello stesso articolo, la Legge 104 prevede che la Commissione sia integrata dagli specialisti preposti all’accertamento della sordità e della cecità. Inoltre l’accertamento dovrebbe concludersi in un’unica seduta e non prevedere revisioni.
Si tratta di una indicazione – quest’ultima – già espressa per via amministrativa ma che ora assume forza di legge. Infatti una Circolare del Ministero della Salute (Dipartimento della prevenzione e della comunicazione) del 27 settembre 2004 aveva dato indicazione agli Assessorati alla sanità delle Regioni «di semplificare le modalità di accertamento delle disabilità dei soggetti con sordocecità da parte delle commissioni medico legali delle Aziende ASL, nel senso di sottoporre a visita una sola volta, sulla base della documentazione clinica presentata, prevedendo in un’unica seduta la presenza di entrambi gli specialisti (oculista e otorino audiologo)».
PLURIMINORAZIONI E CUMULO DI PROVVIDENZE ECONOMICHE
Domanda All’art. 2 della legge 429/91 si specifica che se un soggetto con handicap è affetto da due patologie invalidanti che singolarmente considerate darebbero titolo all’indennità di accompagnamento in base alla legge n. 508/88, spetta una indennità cumulativa pari alla somma delle indennità attribuibili in base alla norme citate. A mio figlio di dodici anni affetto da Sindrome di Down e Sindrome di West-Lennox-Gastault (epilessia) spetta questa indennità?
Risposta La norme cui si fa riferimento prevedono sì l’indennità cumulativa, ma solo nel caso di pluriminorazione sensoriale (cecità e sordomutismo), cioè nel caso in cui vi sia una disabilità intellettiva o fisica o cecità accompagnate da sordomutismo, ciascuna delle quali dia diritto all’indennità di accompagnamento. Nel caso sottoposto c’è invece solo una pluralità di patologie
L’ACCERTAMENTO DELLE MINORAZIONI CIVILI
Le persone con disabilità possono ottenere alcuni benefici a condizione che abbiano ottenuto, a seconda dei casi, il riconoscimento del loro handicap o della loro invalidità, cecità civile o sordomutismo.
L’invalidità è la difficoltà a svolgere alcune funzioni tipiche della vita quotidiana o di relazione a causa di una menomazione o di un deficit psichico o intellettivo, della vista o dell’udito. In linea generale l’invalidità civile viene definita in percentuale nel caso in cui l’interessato sia maggiorenne.
La cecità civile viene invece definita in modo descrittivo, ma comunque codificato: cieco assoluto e cieco con residuo visivo non superiore ad un ventesimo in entrambi gli occhi. Una disposizione recente (Legge 138/2001) ha indicato una nuova classificazione delle disabilità visive: ciechi totali, parziali, ipovedenti gravi, medio-gravi e lievi. La nuova classificazione, comunque, è di natura tecnico-scientifica e non modifica la vigente normativa in materia di prestazioni economiche e sociali in campo assistenziale.
Viene infine considerata sorda pre-linguale la persona affetta da disabilità sensoriale dell’udito con sordità congenita o acquisita durante l’età evolutiva che gli abbia impedito il normale apprendimento del linguaggio parlato, purché la sordità non sia di natura esclusivamente psichica o dipendente da causa di guerra, di lavoro o di servizio.
La Commissione Usl
L’invalidità è riconosciuta da una Commissione operante presso ogni Azienda Usl. La Commissione è composta da un medico specialista in medicina legale che assume le funzioni di presidente e da due medici di cui uno scelto prioritariamente tra gli specialisti in medicina del lavoro. I medici sono scelti tra i medici dipendenti o convenzionati della Usl territorialmente competente. Alla Commissione partecipa, di volta in volta, un sanitario in rappresentanza, rispettivamente, dell’Associazione nazionale dei mutilati ed invalidi civili (ANMIC), dell’Unione italiana ciechi (UIC), dell’Ente nazionale per la protezione e l’assistenza ai sordomuti (ENS) e dell’Associazione nazionale delle famiglie dei fanciulli ed adulti subnormali (ANFFAS), ogni qualvolta devono pronunciarsi su invalidi appartenenti alle rispettive categorie. Dal 1 gennaio 2010, la Commissione è integrata da un medico INPS quale componente effettivo.
La domanda di riconoscimento
La richiesta di riconoscimento di invalidità va presentata, dall’interessato o da chi lo rappresenta legalmente (genitore, o tutore) o a chi ne cura gli interessi nel caso degli inabilitati (curatore), all’INPS territorialmente competente. La presentazione della domanda, informatizzata dal gennaio 2010, deve rispettare alcuni precisi passaggi. 1. Il certificato del medico curante. Per prima cosa bisogna rivolgersi al medico curante (medico certificatore) per il rilascio del certificato introduttivo. Basandosi sui modelli di certificazione predisposti dall’INPS, il medico attesta la natura delle infermità invalidanti, riporta i dati anagrafici, le patologie invalidanti da cui il soggetto è affetto con l’indicazione obbligatoria dei codici nosologici internazionali (ICD-9). Deve, se presenti, indicare le patologie elencate nel Decreto Ministeriale 2 agosto 2007 che indica le patologie stabilizzate o ingravescenti che danno titolo alla non rivedibilità. Infine deve indicare l’eventuale sussistenza di una patologia oncologica in atto. Questo certificato va compilato su supporto informatico ed inviato telematicamente. I medici certificatori, per eseguire questa operazione, devono essere “accreditati” presso il sistema richiedendo un PIN che li identificherà in ogni successiva certificazione. Una volta compilato il certificato, il sistema informatizzato genera un codice univoco che il medico consegna all’interessato. Il medico deve anche stampare e consegnare il certificato introduttivo firmato in originale, che il Cittadino deve poi esibire al momento della visita. La ricevuta indica il numero di certificato che il Cittadino deve riportare nella domanda per l’abbinamento dei due documenti. Il certificato ha validità 30 giorni: se non si presenta in tempo la domanda, il certificato scade e bisogna richiederlo nuovamente al medico.
2. La presentazione della domanda all’INPS. La domanda di accertamento può essere presentata solo per via telematica. Il Cittadino può farlo autonomamente, dopo aver acquisito il PIN (un codice numerico personalizzato), oppure attraverso gli enti abilitati: associazioni di categoria, patronati sindacali, CAAF, altre organizzazioni. Il PIN può essere richiesto direttamente dal sito dell’Inps, sezione dei Servizi on line (inserendo i dati richiesti saranno visualizzati i primo otto caratteri del PIN; la seconda parte del codice sarà successivamente recapitata per posta ordinaria) oppure, in alternativa, tramite il Contact Center INPS (numero 803164). Nella fase della presentazione si abbina il certificato rilasciato dal medico (presente nel sistema) alla domanda che si sta presentando. Nella domanda sono da indicare i dati personali e anagrafici, il tipo di riconoscimento richiesto (handicap, invalidità, disabilità), le informazioni relative alla residenza e all’eventuale stato di ricovero. Il Cittadino può indicare anche una casella di posta elettronica (che se è certificata consente comunicazioni valide da un punto di vista burocratico) per ricevere le informazioni sul flusso del procedimento che lo riguarda. Tutte le “fasi di avanzamento” possono essere consultate anche online nel sito dell’INPS, sia dal Cittadino che dai soggetti abilitati grazie al codice di ingresso (PIN).
La ricevuta e la convocazione a visita
Per ogni domanda inoltrata, il sistema informatico genera una ricevuta con il protocollo della domanda. La procedura informatica propone poi un’agenda di date disponibili per l’accertamento presso la Commissione dell’Azienda USL. Il Cittadino, può scegliere la data di visita o indicarne una diversa da quella proposta, scegliendola tra le ulteriori date indicate dal sistema. Vengono fissati indicativamente dei nuovi limiti temporali: – per l’effettuazione delle visite ordinarie è previsto un tempo massimo di 30 giorni dalla data di presentazione della domanda; – in caso di patologia oncologica ai sensi dell’art. 6 della Legge n. 80/06 o per patologia ricompresa nel DM 2 agosto 2007, il limite temporale scende a 15 giorni.
Se non è possibile, in tempo reale, fissare la visita entro l’arco temporale massimo, a causa dell’indisponibilità di date nell’agenda, la procedura può segnalare date successive al limite previsto, oppure registrare la domanda e riservarsi di definire in seguito la prenotazione della visita. Una volta definita la data di convocazione, l’invito a visita è visibile nella procedura informatica (visualizzato nel sito internet) e viene comunicato con lettera raccomandata con avviso di ricevimento, all’indirizzo e alla email eventualmente comunicata. Nelle lettere di invito a visita sono riportati i riferimenti della prenotazione (data, orario, luogo di visita), delle avvertenze riguardanti la documentazione da portare all’atto della visita (documento di identità valido; stampa originale del certificato firmata dal medico certificatore; documentazione sanitaria, ecc.), e delle modalità da seguire in caso di impedimento a presentarsi a visita, nonché le conseguenze che possono derivare dalla eventuale assenza alla visita.
Nella stessa lettera viene ricordato che: – il Cittadino può farsi assistere, durante la visita, da un suo medico di fiducia; – in caso di impedimento, può chiedere una nuova data di visita collegandosi al sito dell’Inps e accedendo al Servizio online con il proprio codice di identificazione personale (PIN); – se assente alla visita, verrà comunque nuovamente convocato. La mancata presentazione anche alla successiva visita sarà considerata a tutti gli effetti come una rinuncia alla domanda, con perdita di efficacia della stessa.
Visita domiciliare
Nel caso in cui la persona sia intrasportabile (il trasporto comporta un grave rischio per l’incolumità e la salute della persona) è possibile richiedere la visita domiciliare. Anche in questo caso la procedura è informatizzata e spetta al medico abilitato a rilasciare il certificato introduttivo. Il certificato medico di richiesta visita domiciliare va inoltrato almeno 5 giorni prima della
data già fissata per la visita ambulatoriale. È poi il Presidente della Commissione dell’Azienda USL a valutare il merito della certificazione e dispone o meno la visita domiciliare. In caso di accoglimento, il Cittadino viene informato della data e dell’ora stabilita per la visita domiciliare, altrimenti viene indicata una nuova data di invito a visita ambulatoriale. Tali comunicazioni saranno notificate con le modalità già descritte (visualizzazione sul sito internet, eventuale invio per posta elettronica, lettera raccomandata).
La visita
La visita avviene presso la Commissione della Azienda USL competente che, dal 1 gennaio 2010 è – in forza dell’articolo 20 della Legge 102/2009 – integrata con un medico dell’INPS. La Commissione accede al fascicolo elettronico contenente la domanda e il certificato medico. La persona può farsi assistere – a sue spese da un medico propria fiducia. Al termine della visita, viene redatto il verbale elettronico, riportando l’esito, i codici nosologici internazionali (ICD-9) e l’eventuale indicazione di patologie indicate nel Decreto 2 agosto 2007 che comportano l’esclusione di successive visite di revisione. Sono abilitati all’accesso a questi dati solo alcuni medici e funzionari, per contenere il rischio di abusi relativi alla riservatezza dei dati. Tutta la documentazione sanitaria presentata nel corso della visita viene conservata e acquisita agli atti dall’Azienda USL. In caso di assenza a visita senza giustificato motivo, la domanda viene rigettata. Il Cittadino dovrà presentare una nuova domanda, previo rilascio del certificato da parte del medico curante.
La verifica
Come già detto, le Commissioni ASL sono integrate con un medico dell’INPS e questo può rappresentare un vantaggio in termini di tempi, oltre che – sicuramente – di risparmi di gestione. Infatti, se al termine della visita viene approvato all’unanimità, il verbale, validato dal Responsabile del Centro Medico Legale dell’INPS viene considerato defintivo. Se il verbale dà diritto a prestazioni economiche (pensioni, indennità, assegni), viene anche attivato il flusso amministrativo per la relativa concessione ed erogazione e quindi inviato anche all’ente concessore e “messo in lavorazione”. Se al termine della visita di accertamento, invece, il parere non è unanime, l’INPS sospende l’invio del verbale e acquisisce gli atti che vengono esaminati dal Responsabile del Centro Medico Legale dell’INPS. Questi può validare il verbale entro 10 giorni oppure procedere ad una nuova visita nei successivi 20 giorni. La visita, in questo caso, viene effettuata, oltre che da un medico INPS (diverso da quello presente in Commissione ASL), da un medico rappresentante delle associazioni di categoria (ANMIC, ENS, UIC, ANFFAS) e, nel caso di valutazione dell’handicap, da un operatore sociale (per le certificazioni relative alla Legge 104/1992 e 68/1999). La Commissione medica può avvalersi della consulenza di un medico specialista della
patologia oggetto di valutazione. Le consulenze potranno essere effettuate da medici specialisti INPS o da medici già convenzionati con l’Istituto.
L’invio del verbale
Il verbale definitivo viene inviato al Cittadino dall’INPS. Le versioni inviate sono due: una contenente tutti i dati sensibili e una contenente solo il giudizio finale per gli usi amministrativi. Se il giudizio finale prevede l’erogazione di provvidenze economiche, il Cittadino viene invitato ad inserire online i dati richiesti (ad esempio reddito personale, eventuale ricovero a carico dello Stato, frequenza a scuole o centri di riabilitazione, coordinate bancarie). Anche queste informazioni finiscono nella “banca dati” e completano il profilo della persona ai fini dell’invalidità civile, handicap e disabilità. E anche per queste procedure è bene farsi assistere da un patronato sindacale, un’associazione o un soggetto abilitato. Il procedimento si conclude con l’erogazione delle provvidenze economiche nei casi in cui ne sia riconosciuto il diritto sulla base dei requisiti sanitari e di diritto. I fascicoli elettronici dei verbali conclusi vengono archiviati nel Casellario Centrale di Invalidità gestito dall’INPS.
Decorrenza dei benefici economici
I benefici economici riconosciuti decorrono dal mese successivo alla data di presentazione della domanda di accertamento sanitario all’Azienda Usl. La Commissione può indicare, in via eccezionale e in base alla documentazione clinica visionata, una data successiva diversa.
Decesso del richiedente
Nel caso di decesso del richiedente il riconoscimento dello status di invalido civile, di cieco civile o di sordomuto, la Commissione Usl può, su formale istanza degli eredi, procedere all’accertamento sanitario esclusivamente in presenza di documentazione medica rilasciata da strutture pubbliche o convenzionate, in data antecedente al decesso, comprovanti, in modo certo, l’esistenza delle infermità e tali da consentire la formulazione di una esatta diagnosi ed un compiuto e motivato giudizio medico-legale.
Il ricorso
Nel caso la Commissione medica entro tre mesi dalla presentazione della domanda non fissi la visita di accertamento, l’interessato può presentare una diffida all’Assessorato regionale competente che provvede a fissare la visita entro il termine massimo di 270 giorni dalla data di presentazione della domanda; se questo non accade (silenzio rigetto) si può ricorre al giudice ordinario. Avverso i verbali emessi dalle Commissioni mediche (Usl o periferiche) è possibile presentare ricorso, entro sei mesi dalla notifica del verbale, davanti al giudice ordinario con l’assistenza di un legale. Nel caso di ricorso è possibile farsi appoggiare da un patronato sindacale o da associazioni di categoria.
L’aggravamento
Chi ha ottenuto il riconoscimento dell’invalidità civile può presentare richiesta di aggravamento seguendo il medesimo iter fin qui illustrato.. .Qualora sia stato prodotto ricorso gerarchico avverso il giudizio della commissione preposta all’accertamento della invalidità e delle condizioni visive, le domande di aggravamento sono prese in esame soltanto dopo la definizione del ricorso stesso. Non è possibile quindi presentare richiesta di aggravamento se già si è avviato un procedimento di ricorso.
Visite di revisione e certificati “a scadenza”
L’indicazione riguarda tutti quei casi in cui nei verbali sia già stata prevista una revisione successiva. La Circolare INPS 131/2009 precisa che “le prestazioni per le quali sono già indicate negli archivi dell’Istituto le date di scadenza, verranno caricate in automatico nella procedura INVCIV2010 e potranno quindi essere gestite interamente con il nuovo iter procedurale. La programmazione dei calendari di visita dovrà ovviamente essere effettuata dall’ASL. Atteso che dalle procedure di revisione sono esclusi i soggetti di cui al DM 02/07/2007, il medico INPS che integra la Commissione medica, avrà cura di esaminare gli atti contenuti nel fascicolo sanitario della ASL relativamente ai soggetti portatori delle patologie ricomprese nel citato DM, al fine di escludere ogni ulteriore accertamento.”
Si suggerisce a chi sia in possesso di un verbale (di invalidità o di handicap) a scadenza, di rivolgersi comunque alla propria Azienda USL per avere conferma della procedura adottata e dei tempi di attesa. Ricordiamo, infatti, che alla scadenza del verbale, decadono tutte le prestazioni economiche e i benefici (ad esempio, permessi e congedi lavorativi) precedentemente concessi.
LO STATO DI HANDICAP, L’ACCERTAMENTO, COME LEGGERE I VERBALI DI INVALIDITÀ E DI HANDICAP
STATO DI HANDICAP: DEFINIZIONI
Lo stato di handicap, diverso da quello di minorazione civile, è definito e graduato dalla Legge 104/1992.
Il primo comma dell’articolo 3 della Legge 104/1992 precisa: “È persona handicappata colui che presenta una minorazione fisica, psichica o sensoriale, stabilizzata o progressiva, che causa difficoltà di apprendimento, di relazione o di integrazione lavorativa e tale da determinare un processo di svantaggio sociale o di emarginazione.”
Il terzo comma dello stesso articolo, definisce la connotazione di gravità: “Qualora la minorazione, singola o plurima, abbia ridotto l’autonomia personale, correlata all’età, in
modo da rendere necessario un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione, la situazione assume connotazione di gravità.”
L’accertamento dell’handicap è effettuato dalle specifiche Commissioni operanti presso ogni Azienda Usl. Si tratta delle medesime Commissioni che accertano le minorazioni civili, integrate da un operatore sociale e da uno specialista nella patologia da esaminare. Diversamente dalla valutazione delle minorazioni civili, quella per individuare e definire l’handicap si basa su criteri medico-sociali e non medico-legali o percentualistici.
L’ACCERTAMENTO DELL’HANDICAP
L’handicap è la situazione di svantaggio sociale che dipende dalla disabilità o menomazione e dal contesto sociale di riferimento in cui una persona vive (art. 3 comma 1, Legge 104/1992). L’handicap viene considerato grave quando la persona necessita di un intervento assistenziale permanente, continuativo e globale nella sfera individuale o in quella di relazione (art. 3 comma 3, Legge 104/1992). Una persona può ottenere sia la certificazione di invalidità civile, cecità o sordomutismo che quella di handicap. Anche le persone con invalidità diverse (di guerra, per servizio, di lavoro) possono richiedere la certificazione di handicap.
La Commissione Usl
L’handicap è valutato da una Commissione operante presso ogni Azienda Usl.
La Commissione è composta da un medico specialista in medicina legale che assume le funzioni di presidente e da due medici di cui uno scelto prioritariamente tra gli specialisti in medicina del lavoro. I medici sono scelti tra i medici dipendenti o convenzionati della Usl territorialmente competente. La Commissione è la medesima che accerta l’invalidità civile, ma è integrata da un operatore sociale e un esperto nei casi da esaminare. Alla Commissione partecipa, di volta in volta, un sanitario in rappresentanza, rispettivamente, dell’Associazione nazionale dei mutilati ed invalidi civili (ANMIC), dell’Unione italiana ciechi (UIC), dell’Ente nazionale per la protezione e l’assistenza ai sordomuti (ENS) e dell’Associazione nazionale delle famiglie dei fanciulli ed adulti subnormali (ANFFAS), ogni qualvolta devono pronunciarsi su invalidi appartenenti alle rispettive categorie.
Dal 1 gennaio 2010, la Commissione è integrata da un medico INPS quale componente effettivo.
Come si richiede il riconoscimento
La richiesta di riconoscimento di handicap va presentata, dall’interessato o da chi lo rappresenta legalmente (genitore, tutore, curatore), all’INPS territorialmente competente.
La presentazione della domanda, informatizzata dal gennaio 2010, deve rispettare alcuni precisi passaggi.
1. Il certificato del medico curante. Per prima cosa bisogna rivolgersi al medico curante (medico certificatore) per il rilascio del certificato introduttivo. Basandosi sui modelli di certificazione predisposti dall’INPS, il medico attesta la natura delle infermità invalidanti, riporta i dati anagrafici, le patologie invalidanti da cui il soggetto è affetto con l’indicazione obbligatoria dei codici nosologici internazionali (ICD-9). Deve, se presenti, indicare le patologie elencate nel Decreto Ministeriale 2 agosto 2007 che indica le patologie stabilizzate o ingravescenti che danno titolo alla non rivedibilità. Infine deve indicare l’eventuale sussistenza di una patologia oncologica in atto. Questo certificato va compilato su supporto informatico ed inviato telematicamente. I medici certificatori, per eseguire questa operazione, devono essere “accreditati” presso il sistema richiedendo un PIN che li identificherà in ogni successiva certificazione. Una volta compilato il certificato, il sistema informatizzato genera un codice univoco che il medico consegna all’interessato. Il medico deve anche stampare e consegnare il certificato introduttivo firmato in originale, che il Cittadino deve poi esibire al momento della visita. La ricevuta indica il numero di certificato che il Cittadino deve riportare nella domanda per l’abbinamento dei due documenti. Il certificato ha validità 30 giorni: se non si presenta in tempo la domanda, il certificato scade e bisogna richiederlo nuovamente al medico.
2. La presentazione della domanda all’INPS. La domanda di accertamento può essere presentata solo per via telematica. Il Cittadino può farlo autonomamente, dopo aver acquisito il PIN (un codice numerico personalizzato), oppure attraverso gli enti abilitati: associazioni di categoria, patronati sindacali, CAAF, altre organizzazioni. Il PIN può essere richiesto direttamente dal sito dell’Inps, sezione dei Servizi on line (inserendo i dati richiesti saranno visualizzati i primo otto caratteri del PIN; la seconda parte del codice sarà successivamente recapitata per posta ordinaria) oppure, in alternativa, tramite il Contact Center INPS (numero 803164). Nella fase della presentazione si abbina il certificato rilasciato dal medico (presente nel sistema) alla domanda che si sta presentando. Nella domanda sono da indicare i dati personali e anagrafici, il tipo di riconoscimento richiesto (handicap, invalidità, disabilità), le informazioni relative alla residenza e all’eventuale stato di ricovero. Il Cittadino può indicare anche una casella di posta elettronica (che se è certificata consente comunicazioni valide da un punto di vista burocratico) per ricevere le informazioni sul flusso del procedimento che lo riguarda. Tutte le “fasi di avanzamento” possono essere consultate anche online nel sito dell’INPS, sia dal Cittadino che dai soggetti abilitati grazie al codice di ingresso (PIN).
E’ bene ricordare che l’accertamento dell’handicap può essere richiesto anche contemporaneamente alla domanda di accertamento dell’invalidità: non è, cioè, necessario presentare due domande distinte,
La ricevuta e la convocazione a visita
Per ogni domanda inoltrata, il sistema informatico genera una ricevuta con il protocollo della domanda. La procedura informatica propone poi un’agenda di date disponibili per l’accertamento presso la Commissione dell’Azienda USL. Il Cittadino, può scegliere la data di visita o indicarne una diversa da quella proposta, scegliendola tra le ulteriori date indicate dal sistema. Vengono fissati indicativamente dei nuovi limiti temporali: – per l’effettuazione delle visite ordinarie è previsto un tempo massimo di 30 giorni dalla data di presentazione della domanda; – in caso di patologia oncologica ai sensi dell’art. 6 della Legge n. 80/06 o per patologia ricompresa nel DM 2 agosto 2007, il limite temporale scende a 15 giorni.
Se non è possibile, in tempo reale, fissare la visita entro l’arco temporale massimo, a causa dell’indisponibilità di date nell’agenda, la procedura può segnalare date successive al limite previsto, oppure registrare la domanda e riservarsi di definire in seguito la prenotazione della visita. Una volta definita la data di convocazione, l’invito a visita è visibile nella procedura informatica (visualizzato nel sito internet) e viene comunicato con lettera raccomandata con avviso di ricevimento, all’indirizzo e alla email eventualmente comunicata. Nelle lettere di invito a visita sono riportati i riferimenti della prenotazione (data, orario, luogo di visita), delle avvertenze riguardanti la documentazione da portare all’atto della visita (documento di identità valido; stampa originale del certificato firmata dal medico certificatore; documentazione sanitaria, ecc.), e delle modalità da seguire in caso di impedimento a presentarsi a visita, nonché le conseguenze che possono derivare dalla eventuale assenza alla visita.
Nella stessa lettera viene ricordato che: – il Cittadino può farsi assistere, durante la visita, da un suo medico di fiducia; – in caso di impedimento, può chiedere una nuova data di visita collegandosi al sito dell’Inps e accedendo al Servizio online con il proprio codice di identificazione personale (PIN); – se assente alla visita, verrà comunque nuovamente convocato. La mancata presentazione anche alla successiva visita sarà considerata a tutti gli effetti come una rinuncia alla domanda, con perdita di efficacia della stessa.
Visita domiciliare
Nel caso in cui la persona sia intrasportabile (il trasporto comporta un grave rischio per l’incolumità e la salute della persona) è possibile richiedere la visita domiciliare. Anche in questo caso la procedura è informatizzata e spetta al medico abilitato a rilasciare il
certificato introduttivo. Il certificato medico di richiesta visita domiciliare va inoltrato almeno 5 giorni prima della data già fissata per la visita ambulatoriale. È poi il Presidente della Commissione dell’Azienda USL a valutare il merito della certificazione e dispone o meno la visita domiciliare. In caso di accoglimento, il Cittadino viene informato della data e dell’ora stabilita per la visita domiciliare, altrimenti viene indicata una nuova data di invito a visita ambulatoriale. Tali comunicazioni saranno notificate con le modalità già descritte (visualizzazione sul sito internet, eventuale invio per posta elettronica, lettera raccomandata).
La visita
La visita avviene presso la Commissione della Azienda USL competente che, dal 1 gennaio 2010 è – in forza dell’articolo 20 della Legge 102/2009 – integrata con un medico dell’INPS. La Commissione accede al fascicolo elettronico contenente la domanda e il certificato medico. La persona può farsi assistere – a sue spese da un medico propria fiducia. Al termine della visita, viene redatto il verbale elettronico, riportando l’esito, i codici nosologici internazionali (ICD-9) e l’eventuale indicazione di patologie indicate nel Decreto 2 agosto 2007 che comportano l’esclusione di successive visite di revisione. Sono abilitati all’accesso a questi dati solo alcuni medici e funzionari, per contenere il rischio di abusi relativi alla riservatezza dei dati. Tutta la documentazione sanitaria presentata nel corso della visita viene conservata e acquisita agli atti dall’Azienda USL. In caso di assenza a visita senza giustificato motivo, la domanda viene rigettata. Il Cittadino dovrà presentare una nuova domanda, previo rilascio del certificato da parte del medico curante.
La verifica
Come già detto, le Commissioni ASL sono integrate con un medico dell’INPS e questo può rappresentare un vantaggio in termini di tempi, oltre che – sicuramente – di risparmi di gestione. Infatti, se al termine della visita viene approvato all’unanimità, il verbale, validato dal Responsabile del Centro Medico Legale dell’INPS è considerato definitivo. Se al termine della visita di accertamento, invece, il parere non è unanime, l’INPS sospende l’invio del verbale e acquisisce gli atti che vengono esaminati dal Responsabile del Centro Medico Legale dell’INPS. Questi può validare il verbale entro 10 giorni oppure procedere ad una nuova visita nei successivi 20 giorni. La visita, in questo caso, viene effettuata, oltre che da un medico INPS (diverso da quello presente in Commissione ASL), da un medico rappresentante delle associazioni di categoria (ANMIC, ENS, UIC, ANFFAS) e, nel caso di valutazione dell’handicap, da un operatore sociale (per le certificazioni relative alla Legge 104/1992 e 68/1999). La Commissione medica può avvalersi della consulenza di un medico specialista della
patologia oggetto di valutazione. Le consulenze potranno essere effettuate da medici specialisti INPS o da medici già convenzionati con l’Istituto.
L’invio del verbale
Il verbale definitivo viene inviato al Cittadino dall’INPS. Le versioni inviate sono due: una contenente tutti i dati sensibili e una contenente solo il giudizio finale per gli usi amministrativi. Se il giudizio finale prevede l’erogazione di provvidenze economiche, il Cittadino viene invitato ad inserire online i dati richiesti (ad esempio reddito personale, eventuale ricovero a carico dello Stato, frequenza a scuole o centri di riabilitazione, coordinate bancarie). Anche queste informazioni finiscono nella “banca dati” e completano il profilo della persona ai fini dell’invalidità civile, handicap e disabilità. E anche per queste procedure è bene farsi assistere da un patronato sindacale, un’associazione o un soggetto abilitato. I fascicoli elettronici dei verbali conclusi vengono archiviati nel Casellario Centrale di Invalidità gestito dall’INPS.
Il ricorso
Nel caso la Commissione medica entro tre mesi dalla presentazione della domanda non fissi la visita di accertamento, l’interessato può presentare una diffida all’Assessorato regionale competente che provvede a fissare la visita entro il termine massimo di 270 giorni dalla data di presentazione della domanda; se questo non accade (silenzio rigetto) si può ricorre al giudice ordinario. Avverso i verbali emessi dalle Commissioni mediche (Usl o periferiche) è possibile presentare ricorso, entro sei mesi dalla notifica del verbale, davanti al giudice ordinario con l’assistenza di un legale. Nel caso di ricorso è possibile farsi appoggiare da un patronato sindacale o da associazioni di categoria.
L’aggravamento
Chi ha ottenuto il riconoscimento dell’invalidità civile può presentare richiesta di aggravamento seguendo il medesimo iter fin qui illustrato.. .Qualora sia stato prodotto ricorso gerarchico avverso il giudizio della commissione preposta all’accertamento della invalidità e delle condizioni visive, le domande di aggravamento sono prese in esame soltanto dopo la definizione del ricorso stesso. Non è possibile quindi presentare richiesta di aggravamento se già si è avviato un procedimento di ricorso.
Visite di revisione e certificati “a scadenza”
L’indicazione riguarda tutti quei casi in cui nei verbali sia già stata prevista una revisione successiva. La Circolare INPS 131/2009 precisa che “le prestazioni per le quali sono già indicate negli archivi dell’Istituto le date di scadenza, verranno caricate in automatico nella procedura INVCIV2010 e potranno quindi essere gestite interamente con il nuovo iter procedurale. La
programmazione dei calendari di visita dovrà ovviamente essere effettuata dall’ASL. Atteso che dalle procedure di revisione sono esclusi i soggetti di cui al DM 02/07/2007, il medico INPS che integra la Commissione medica, avrà cura di esaminare gli atti contenuti nel fascicolo sanitario della ASL relativamente ai soggetti portatori delle patologie ricomprese nel citato DM, al fine di escludere ogni ulteriore accertamento.”
Si suggerisce a chi sia in possesso di un verbale (di invalidità o di handicap) a scadenza, di rivolgersi comunque alla propria Azienda USL per avere conferma della procedura adottata e dei tempi di attesa. Ricordiamo, infatti, che alla scadenza del verbale, decadono tutte le prestazioni economiche e i benefici (ad esempio, permessi e congedi lavorativi) precedentemente concessi.
IL VERBALE DI INVALIDITÀ
Alle persone che abbiano richiesto l’accertamento di una minorazione civile (invalidità civile, cecità civile, sordomutismo), viene consegnato in seguito alla visita di valutazione il relativo verbale (il cosiddetto Modello Asan)
Il verbale non è per tutti di semplice lettura. Vediamo quindi in sintesi come è articolato e come leggerlo.
Il verbale è distinto in quattro parti.
La prima parte Riporta i dati anagrafici ed amministrativi e cioè i dati utili ad individuare il richiedente e il suo stato civile. Inoltre sono riportati i motivi di presentazione della domanda e la tipologia di accertamento (primo accertamento, revisione d’ufficio, aggravamento, riduzione ecc.). Viene inoltre indicata la data delle seduta e la data di definizione e viene precisato se si è trattato di visita domiciliare o ambulatoriale.
La seconda parte Riporta il giudizio diagnostico della Commissione. Viene descritta l’anamnesi, segnalati gli eventuali accertamenti disposti e la documentazione acquisita. Le diagnosi delle patologie accertate devono recare anche il relativo codice internazionale (ICD). Sono poi contrassegnate le principali disabilità accertate (psichiche, sensoriali, fisiche, neurologiche, respiratorie, cardiocircolatorie) e le relative cause o concause (malformazioni congenite, malattie infettive, traumi del traffico, traumi domestici, altre cause violente, intervento chirurgico mutilante).
La terza parte Riporta il giudizio espresso dalla Commissione in seguito alla visita e alla valutazione della documentazione prodotta. È particolarmente importante perché consente di individuare con chiarezza lo status accertato e a quali diritti dà luogo.
La quarta parte Reca le firme del presidente, del segretario, del medico ULSS, del medico del lavoro e del medico di categoria.
COME LEGGERE I VERBALI DI INVALIDITÀ E DI HANDICAP
A chi richiede l’accertamento dell’invalidità civile, della cecità civile, del sordomutismo o dell’handicap, viene rilasciato, dopo una visita specifica, un verbale che definisce lo status dell’interessato e il grado di invalidità. Il verbale non è sempre di immediata ed agevole lettura. Non sempre si conoscono i benefici e le eventuali provvidenze economiche che da quel verbale derivano.
Questo servizio ti aiuta a leggere il tuo verbale di invalidità o di handicap e di conoscere, in sintesi, i benefici che ne derivano. Come fare? Nel tuo verbale di invalidità civile controlla quale sia la definizione riportata e barrata dalla Commissione di accertamento. Una volta individuata la definizione corrispondente, clicca su [benefici]
Le definizioni per le minorazioni civili presenti nei verbali solitamente sono:
non invalido – assenza di patologia o con una riduzione delle capacità inferiore ad 1/3. [benefici]
invalido con riduzione permanente della capacità lavorativa in misura superiore ad 1/3 (art. 2, L. 118/1971). [benefici]
invalido con riduzione permanente della capacità lavorativa in misura superiore ai 2/3 (artt. 2 e 13, L. 118/1971). [benefici]
invalido con riduzione permanente con invalidità pari o superiore al 74% (artt. 2 e 13, L. 118/1971). [benefici]
invalido con totale e permanente inabilità lavorativa (artt. 2 e 12, L. 118/1971): 100%. [benefici]
invalido con totale e permanente inabilità lavorativa 100% e impossibilità a deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore (L. 18/1980 e L. 508/1988). [benefici]
invalido con totale e permanente inabilità lavorativa 100% e con necessità di assistenza continua non essendo in grado di svolgere gli atti quotidiani della vita (L. 18/1980 e L. 508/1988). [benefici]
minore con difficoltà persistenti a svolgere le funzioni proprie dell’età o con perdita uditiva superiore a 60 decibel nell’orecchio migliore nelle frequenze 500, 1000, 2000 hertz (L. 289/1990). [benefici]
cieco con residuo visivo non superiore ad un ventesimo in entrambi gli occhi con eventuale correzione (L. 382/1970 e 508/1988). [benefici]
cieco assoluto (L. 382/1970 e L. 508/1988). [benefici]
sordomuto (L. 381/1970 e L. 508/1988). [benefici]
ultra65enne con difficoltà persistenti a svolgere le funzioni proprie della sua età (art. 9 D.Lgs. 509/1988).[benefici]
ultra65enne con impossibilità a deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore (L. 18/1980 e L. 508/1988). [benefici]
ultra65enne con necessità di assistenza continua non essendo in grado di svolgere gli atti quotidiani della vita (L. 18/1980 e L. 508/1988). [benefici]
Puoi effettuare la stessa operazione con il tuo verbale di handicap (Legge 104/1992). Le definizioni per le minorazioni civili solitamente sono:
1. Persona non handicappata
2. Persona con handicap (articolo 3, comma 1, Legge 104/1992) [benefici]
3. Persona con handicap con connotazione di gravità (articolo 3, comma 3, Legge 104/1992) [benefici]
4. Persona con handicap superiore ai 2/3 (articolo 21, Legge 104/1992) [benefici]
I PERMESSI LAVORATIVI LEGGE 104/1992: GLI AVENTI DIRITTO
È necessario comprendere chi siano gli “aventi diritto”, cioè quali siano quei lavoratori che possono richiedere l’accesso ai permessi previsti dall’articolo 33 della Legge 104/1992. È da far notare subito che gli aventi diritto ai permessi lavorativi non sono gli stessi che possono anche richiedere i due anni di congedo retribuito (di cui parliamo nelle pagine successive). Per quella seconda agevolazione la normativa è infatti (per ora) molto più restrittiva. Hanno diritto ai permessi lavorativi retribuiti, con diverse modalità, criteri e condizioni, la madre lavoratrice, o – in alternativa – il lavoratore padre, entro i primi tre anni di vita del bambino; la madre lavoratrice, o – in alternativa – il lavoratore padre, dopo il compimento del terzo anno di vita del bambino disabile e poi a seguire nella maggiore età; i parenti o gli affini che assistono la persona disabile non ricoverata in istituto. Hanno infine diritto ai permessi lavorativi i lavoratori disabili in possesso del certificato di handicap grave. I permessi spettano anche nel caso in cui i genitori siano adottivi o affidatari, in quest’ultimo caso solo nell’ipotesi di disabili minorenni. L’affidamento infatti può riguardare soltanto soggetti minorenni (articolo 2, Legge 149/2001).
Primi tre anni di vita
Entro i primi tre anni di vita del figlio con handicap in situazione di gravità, accertato dalla Commissione dell’Azienda USL prevista dalla Legge 104/1992, la lavoratrice madre, o – in alternativa – il padre lavoratore, ha diritto a prolungare il periodo di astensione facoltativa
già prevista dalla legge di tutela della maternità. Il prolungamento dell’assenza facoltativa è coperto da contribuzione figurativa utile ai fini dell’anzianità di servizio. Inoltre, sotto il profilo retributivo, gode di un’indennità giornaliera pari al 30% della retribuzione. Se si sceglie di non fruire di questa opportunità è possibile usufruire di due ore di permesso giornaliero retribuito fino al compimento del terzo anno di vita del bambino. Da questi benefici sono ancora escluse le lavoratrici autonome e quelle che svolgono la propria attività a domicilio o svolgono lavori domestici (Circolari INPS 24 marzo 1995, n. 80, punto 4, e 15 marzo 2001, n. 64, punto 2; Circolare INPDAP 27 novembre 2000, n. 49). In caso di prestazione di lavoro inferiore alle sei ore giornaliere può essere concessa una sola ora di permesso.
Dopo i tre anni
Dopo il compimento del terzo anno di vita del figlio con handicap grave, la madre, o in alternativa il padre, ha diritto non più alle due ore di permesso, ma ai tre giorni di permesso mensile, che possono essere fruiti in via continuativa ma devono essere utilizzati nel corso del mese di pertinenza. È importante sottolineare che la Legge 8 marzo 2000, n. 53 (articolo 20) ha precisato definitivamente che i permessi lavorativi spettano al genitore anche nel caso in cui l’altro non ne abbia diritto. Ad esempio, quindi, i permessi spettano al lavoratore padre anche nel caso la moglie sia casalinga o disoccupata, o alla lavoratrice madre se il padre è lavoratore autonomo. Non spettano nel caso il richiedente sia impegnato in lavoro domestico o presso il proprio domicilio.
Maggiore età
Dopo il compimento della maggiore età, la lavoratrice madre, o – in alternativa – il lavoratore padre, ha diritto ai tre giorni mensili a condizione che sussista convivenza con il figlio o, in assenza di convivenza, che l’assistenza al figlio sia continuativa ed esclusiva. Sia INPS che INPDAP – pur con diverse modulazioni – hanno ripreso nelle loro circolari queste indicazioni. Anche in questo caso i permessi lavorativi spettano al genitore anche nel caso in cui l’altro non ne abbia diritto.
Parenti, affini e coniuge
L’articolo 33 della Legge 104/1992 prevede che i permessi di tre giorni possano essere concessi anche a familiari diversi dai genitori del disabile grave accertato tale con specifica certificazione di handicap (articolo 3, comma 3, della Legge 104/1992) dall’apposita Commissione operante in ogni Azienda USL. È bene precisare che i permessi spettano ai parenti e agli affini entro il terzo grado di parentela e affinità. La condizione è comunque che l’assistenza sia prestata in via continuativa ed esclusiva, anche in assenza di convivenza, come precisato dalla Legge 8
marzo 2000, n. 53 (articolo 19). Merita di ricordare che l’affinità – ai sensi dell’articolo 78 del Codice Civile – è il vincolo tra un coniuge e i parenti dell’altro coniuge. In sostanza, con il matrimonio, i parenti di un coniuge diventano affini dell’altro coniuge, ma gli affini dell’uno non divengono anche affini dell’altro. È quasi superfluo precisare, anche se INPS e INPDAP lo hanno dovuto chiarire, che i permessi spettano anche al coniuge della persona con handicap pur non essendo né parente né affine. I permessi non spettano nel caso il richiedente sia impegnato in lavoro domestico o presso il proprio domicilio e non spettano se il disabile è ricoverato a tempo pieno.
Amministratori di sostegno e tutori
Il tutore o l’amministratore di sostegno che assista con sistematicità ed adeguatezza la persona con handicap grave può – ad oggi – ottenere i permessi lavorativi solo se è anche il coniuge o un parente o un affine fino al terzo grado della persona con handicap grave. Lo ha chiarito, con la Risoluzione 41 del 15 maggio 2009, il Ministero del Lavoro. A parere della Direzione Generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro quei benefici lavorativi non possono essere concessi nemmeno nel caso in cui l’amministratore di sostegno o il tutore assicurino l’assistenza con continuità ed esclusività o con sistematicità ed adeguatezza. Ricorda il Ministero che la platea dei beneficiari è rigidamente disciplinata dal Legislatore e che le uniche variazioni sono state previste dalla Corte costituzionale (peraltro per i beneficiari dei congedi retribuiti biennali).
Lavoratori con handicap
I lavoratori disabili, in possesso del certificato di handicap con connotazione di gravità, possono richiedere due tipi di permessi: un permesso pari a due ore giornaliere, oppure tre giorni di permesso mensile. Dopo una serie di pareri e sentenze di segno opposto, la Legge 8 marzo 2000, n. 53 ha definitivamente chiarito (articolo 19) che i due tipi di permesso non sono fra loro cumulabili, ma sono alternativi: o si usufruisce dei tre giorni di permesso oppure delle due ore giornaliere. Per gli assicurati INPS una Circolare (n. 133/2000, punto 1) ammette che la variazione da fruizione a ore a fruizione in giornate e viceversa possa essere eccezionalmente consentita, anche nell’ambito di ciascun mese, nel caso in cui sopraggiungano esigenze improvvise, non prevedibili all’atto della richiesta di permessi, esigenze che, peraltro, devono essere opportunamente documentate dal lavoratore. Indicazioni analoghe vengono fornite dalla Circolare INPDAP 9 dicembre 2002, n. 33: «Alcuni contratti collettivi di lavoro (es. art. 9, comma 3, del CCNL del Comparto dei Ministeri, stipulato in data 16.2.99) hanno introdotto, rispetto alla previsione normativa, l’ulteriore agevolazione della frazionabilità ad ore dei permessi a giorni, di cui al comma 3 dell’art. 33 della legge 104/92, allo scopo di consentire al personale beneficiario una più efficace soddisfazione dell’interesse tutelato. Pertanto, sotto il profilo delle modalità di utilizzo, il
dipendente non incontra alcun limite prestabilito. È, quindi, possibile, eccezionalmente, nel caso in cui dovessero sopraggiungere esigenze improvvise, non prevedibili all’atto della richiesta dei permessi, variare anche nell’ambito di ciascun mese la programmazione già effettuata in precedenza. Pertanto, nei casi in cui il dipendente intenda fruire nello stesso mese sia di permessi orari che di quelli giornalieri, si procederà alla conversione in giorni lavorativi delle ore di permesso fruite, che quindi andrà a ridurre il numero dei giorni di permesso mensile spettanti, previsti dalle specifiche norme contrattuali di settore. Solo un residuo di ore non inferiore alla giornata lavorativa dà il diritto alla fruizione di un intero giorno di permesso». Anche in questo caso va ricordato che i permessi non spettano nel caso il richiedente sia impegnato in lavoro domestico o presso il proprio domicilio.
I PERMESSI LAVORATIVI LEGGE 104/1992: L’ASSENZA DI RICOVERO Una delle condizioni prioritarie fissate dal Legislatore per la concessione dei permessi lavorativi è l’assenza di ricovero della persona disabile da assistere. In particolare l’eccezione viene formulata in due modi diversi. Nel caso di richiesta del prolungamento dell’astensione facoltativa fino al terzo anno di vita del bambino, se ne esclude la concessione nel caso di ricovero in istituti specializzati. Non si fa, cioè, riferimento ad eventuali degenze ospedaliere. Per gli altri permessi lavorativi, dopo il terzo anno di vita e per i maggiorenni, l’eccezione invece è più generale e riguarda qualsiasi tipo di ricovero.
Le indicazioni del Ministero del Lavoro
Oltre a queste indicazioni, ve ne sono delle altre definite dal Ministero del Lavoro (che riguardano dipendenti pubblici e privati) e dell’INPS (cogenti per i soli assicurati INPS). Il Ministero del Lavoro (Nota n. 13 del 20 febbraio 2009) ha ammesso la concessone dei permessi, in casi particolari, anche in presenza di ricovero. Se il disabile deve recarsi al di fuori della struttura che lo ospita per effettuare visite e terapie, interrompe il tempo pieno del ricovero e determina il necessario affidamento del disabile all’assistenza del familiare il quale, ricorrendone dunque gli altri presupposti di legge (parentela e affinità), avrà diritto alla fruizione dei permessi. Il lavoratore è tenuto alla presentazione di apposita documentazione rilasciata dalla struttura competente che attesti le visite o le terapie effettuate e i permessi possono essere concessi solo in quella occasione. Il monte ore massimo dei permessi è comunque di tre giorni mensili.
Le indicazioni INPS
L’INPS, da parte sua, ha precisato (Circolare 90/2007) che per ricovero a tempo pieno si intende quello che copre l’intero arco delle 24 ore, escludendo pertanto i ricoveri in day hospital e in centri diurni con finalità assistenziali o riabilitative o occupazionali. Nella stessa Circolare introduce un’altra eccezione: i permessi possono essere concessi anche
nel caso di ricovero a tempo pieno di una persona con handicap grave (indipendentemente dall’età) se questi si trovi in coma vigile o in stato terminale. Queste condizioni sanitarie e la necessità di assistenza sono accertate del dirigente responsabile del Centro medico legale della Sede INPS. Una ulteriore importante precisazione riguarda i bambini con età inferiore ai tre anni con handicap grave: i permessi possono essere concessi nel caso di ricovero a tempo pieno, finalizzato ad un intervento chirurgico oppure a scopo riabilitativo. In questi casi viene richiesta una documentazione prodotta dai sanitari della struttura ospedaliera di bisogno di assistenza da parte di un genitore o di un familiare.
I PERMESSI LAVORATIVI: LA DOMANDA
I permessi lavorativi previsti dall’articolo 33 della Legge 104/1992 si ottengono, nel caso sussistano tutti i requisiti, dopo aver presentato formale richiesta e aver ricevuto la relativa concessione. Anche in questo caso c’è una sostanziale differenza fra i dipendenti pubblici e i lavoratori assicurati con l’INPS. In entrambi i casi, comunque, la domanda assume la forma di una autocertificazione in cui si dichiarano una serie di condizioni personali e del familiare cui si intende prestare assistenza: stato di handicap, parentela e affinità, dati anagrafici propri e del familiare e altre indicazioni, se richieste, relative alla continuità e all’esclusività dell’assistenza. Ulteriori indicazioni possono essere inserite rispetto alla modalità di fruizione (frazionata o per intero).
Nel comparto pubblico la responsabilità e la discrezionalità di accogliere le domande sono attribuite ai dirigenti dell’amministrazione di riferimento (solitamente l’ufficio personale o delle risorse umane) che verificano la correttezza sostanziale e formale delle richieste. INPDAP e Ministero della Pubblica Amministrazione non hanno mai elaborato un modello unico di domanda dei permessi.
Per gli assicurati INPS il percorso è diverso. Innanzitutto l’INPS, nel proprio sito (www.inps.it, sezione “Moduli”), oltre che presso tutte le sedi periferiche, garantisce ai propri assicurati la disponibilità dei moduli necessari alla richiesta dei permessi e dei congedi lavorativi. Bisogna però sapersi orientare. Il modulo Hand 1 è riservato ai genitori o affidatari di minori. Il modulo Hand 2 è rivolto ai genitori, ai familiari di portatori di handicap maggiori di tre anni e ai coniugi. Il modulo Hand 3 riguarda i disabili con handicap grave che lavorano. Modelli diversi sono previsti per la richiesta del congedo retribuito di due anni. Tutti i moduli devono essere accompagnati dal modulo Hand Agr nel caso in cui il richiedente sia un lavoratore agricolo. Superfluo precisare che questi modelli non valgono per gli assicurati INPDAP. Tutti i moduli devono essere accompagnati dal certificato di handicap con connotazione di gravità (articolo 3, comma 3, della Legge 104/1992).
La domanda viene presentata all’INPS che ne verifica la sola correttezza formale e ne dà l’assenso. Va poi presentata anche al datore di lavoro cui, di recente, è stata attribuita la competenza di verificare la correttezza sostanziale per l’accettazione della domanda. L’INPS ha precisato che una volta accolta la domanda non è più necessario ripresentarla annualmente a meno che le condizioni soggettive non siano modificate (esempio: la certificazione di handicap grave sia stata rivista o sia scaduta).
I PERMESSI LAVORATIVI E IL CERTIFICATO DI HANDICAP
La condizione prioritaria ed essenziale per accedere ai permessi lavorativi è che il disabile sia in possesso della certificazione di handicap con connotazione di gravità (articolo 3, comma 3, della Legge 104/1992). Non basta quindi la certificazione di handicap (articolo 3, comma 1), ma è necessario che la Commissione abbia accertato la gravità (articolo 3, comma 3) Il certificato di handicap viene rilasciato da un’apposita Commissione operante presso ogni Azienda USL e non va confuso con l’attestazione di invalidità (sia civile, che di servizio, del lavoro o di guerra). Il certificato di handicap, quindi, non può essere sostituito da eventuali certificati di invalidità, anche se questi attestano l’invalidità totale.
Certificato provvisorio
Se non si è ancora in possesso della certificazione di handicap è ammessa un’eccezione: l’articolo 2, comma 2, del Decreto Legge 27 agosto 1993, n. 324 (convertito alla Legge 27 ottobre 1993, n. 423) prevede che qualora la Commissione medica non si pronunci entro 90 giorni dalla presentazione della domanda, l’accertamento può essere effettuato provvisoriamente dal medico, in servizio presso l’Azienda USL che assiste il disabile, specialista nella patologia dalla quale è affetta la persona handicappata. L’accertamento produce effetti solo ai fini della concessione dei benefici previsti dall’articolo 33, sino all’emissione del verbale da parte della Commissione medica. L’INPS ha impartito nel tempo due diverse istruzioni operative in merito al certificato provvisorio. Con la Circolare 32/2006 ha precisato chi sia il “medico specialista” che può rilasciare la certificazione provvisoria di handicap: il medico della struttura di ricovero pubblica o privata equiparata alla pubblica (aziende ospedaliere, strutture ospedaliere private equiparate alle pubbliche e cioè: policlinici universitari, istituti sanitari privati qualificati presidi USL, enti di ricerca). Quella Circolare poneva però il limite di validità temporale del certificato provvisorio a sei mesi, vincolo superato dalla successiva Circolare n. 53/2008 che, al punto 5, riconosce la validità della certificazione fino alla conclusione del procedimento di accertamento. Né il Dipartimento Funzione Pubblica né l’INPDAP hanno fornito invece specifiche indicazioni su tali aspetti operativi: per i non assicurati INPS vale dunque l’indicazione generale della norma di riferimento (Decreto Legge 324/1993).
Sindrome di Down e invalidi di guerra
Un’altra eccezione riguarda le persone con sindrome di Down. La Legge 27 dicembre 2002, n. 289 (articolo 94, comma 3) ammette che le persone con sindrome di Down possano essere dichiarate in situazione di gravità (articolo 3, comma 3, della Legge 104/1992), oltre che dalle Commissioni dell’Azienda USL, anche dal proprio medico di famiglia o dal pediatra, previa richiesta corredata da presentazione del “cariotipo”, cioè di quell’esame che descrive l’assetto cromosomico di una persona. Tale eccezione viene ammessa solo per le persone Down. Si tratta di un’opportunità interessante per le persone con sindrome di Down che non siano in possesso o non siano riuscite ad ottenere il riconoscimento dell’handicap grave. Un’ultima eccezione riguarda i grandi invalidi di guerra. Costoro vengono considerati “in automatico” – come previsto dalla Legge 23 dicembre 1998, n. 448 (articolo 38, comma 5) – persone con handicap con connotazione di gravità. Questo vantaggio spetta ai soli grandi invalidi di guerra, cioè i titolari di pensione o di assegno temporaneo di guerra per lesioni o infermità ascritte alla prima categoria con o senza assegno di super invalidità, non già agli altri invalidi di guerra con minorazioni di rilevanza inferiore. Un’annotazione particolare merita l’autocertificazione dell’handicap: questa opportunità consiste solo nella possibilità di dichiarare di essere già in possesso della certificazione di handicap, indicando la data dell’accertamento e la Commissione che ha effettuato la visita (Legge 448/1998, articolo 39). L’efficacia di questa opzione è molto limitata: è più agevole fotocopiare il certificato originale.
Certificati a scadenza
Può accadere che, al momento di accertare l’handicap, la Commissione dell’Azienda USL fissi una rivedibilità del cittadino, indicando una data di scadenza del verbale. Purtroppo, nella prassi attuale, al superamento della scadenza del verbale di handicap decadono anche i benefici relativi ai permessi lavorativi (e ai congedi retribuiti). Il nostro suggerimento è quello di muoversi per tempo (almeno tre mesi prima della scadenza) informandosi presso la propria Commissione e l’INPS su quale sia il comportamento attuato e cioè se la convocazione avviene in automatico oppure se è il Cittadino che deve comunque presentare istanza di accertamento. Va poi ricordato che, nel caso in cui una nuova valutazione accerti che non sussiste più la connotazione di gravità dell’handicap, va effettuata immediata segnalazione al datore di lavoro e all’istituto previdenziale di riferimento.
CONGEDI RETRIBUITI DI DUE ANNI
La Legge 388/2000 (articolo 80, comma 2, poi ripreso dall’articolo 42, comma 5 del Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151) ha integrato le disposizioni previste dalla Legge 53/2000 introducendo l’opportunità, per i genitori di persone con handicap grave, di usufruire di due
anni di congedo retribuito. L’articolo 3, comma 106 della Legge 350/2003 ha abrogato la condizione che imponeva, quale requisito per la concessione dei congedi retribuiti, che la persona disabile fosse in possesso del certificato di handicap grave da almeno 5 anni. Permane invece l’altra condizione è cioè che il disabile non sia ricoverato a tempo pieno in istituto. Anche in questo caso, come per l’accesso ai permessi lavorativi, la condizione principale è che il disabile sia stato accertato handicappato in situazione di gravità (articolo 3, comma 3 della Legge 104/1992). Non sono ammesse, a parte per i grandi invalidi di guerra e i soggetti con sindrome di Down, certificazioni di altro genere quali ad esempio il certificato di invalidità totale con diritto all’indennità di accompagnamento o frequenza. Chi non dispone del certificato di handicap deve richiederne l’accertamento presso la segreteria della Commissione della propria Azienda Usl di residenza e sottoporsi ad una nuova visita. Se questo accertamento riconoscerà l’handicap grave (articolo 3, comma 3 della Legge 104/1992) si potranno richiedere i congedi retribuiti di due anni qualora ricorrano anche le altre condizioni previste.
CHI NE HA DIRITTO
La norma originaria prevede che i beneficiari potenziali del periodo di due anni di congedo retribuito siano i genitori, anche adottivi o affidatari, della persona con handicap grave e i lavoratori conviventi con il fratello o sorella con handicap grave a condizione che entrambi i genitori siano “scomparsi”.
Successivamente la Corte Costituzionale, ha riconosciuto tre eccezioni di legittimità costituzionale che hanno ampliato la platea degli aventi diritto.
Fratelli e sorelle: la Corte Costituzionale, con Sentenza della Corte Costituzionale (8 giugno 2005, n. 233), ha dichiarato illegittima la norma nella parte in cui non prevede il diritto di uno dei fratelli o delle sorelle conviventi con soggetto con handicap in situazione di gravità di fruire del congedo straordinario, nell’ipotesi in cui i genitori siano impossibilitati a provvedere all’assistenza del figlio handicappato perché totalmente inabili. I diretti interessati, cioè i fratelli o le sorelle di persone con handicap grave (articolo 3, comma 3 della Legge 104/1992) conviventi, possono quindi richiedere il congedo retribuito di due anni anche se i genitori sono ancora in vita. La condizione è tuttavia indicata dalla stessa Corte: i genitori devono essere totalmente inabili. Non è sufficiente quindi che i genitori siano “solo” anziani o “solo” invalidi parziali. L’INPS, da parte sua, ha recepito le disposizioni della Corte Costituzionale con propria Circolare n. 107 del 29 settembre 2005, precisando che l’inabilità dei genitori deve essere comprovata da specifica documentazione da cui sia rilevabile lo stato di invalidità totale (sia essa civile, di guerra, per lavoro, servizio di pensioni di invalidità INPS o analoghe).
Coniugi: la norma originaria esclude l’opportunità per il coniuge di fruire dei due anni di congedo retribuito. Anche su questo aspetto è intervenuta la Corte Costituzionale (Sentenza 18 aprile 2007, n. 158) censurando questa esclusione e dichiarandone l’illegittimità
costituzionale. Afferma la Corte: “La norma censurata (…) esclude attualmente dal novero dei beneficiari del congedo straordinario retribuito il coniuge, pur essendo questi, sulla base del vincolo matrimoniale ed in conformità dell’ordinamento giuridico vigente, tenuto al primo posto (art. 433 cod. civ.) all’adempimento degli obblighi di assistenza morale e materiale del proprio consorte; obblighi che l’ordinamento fa derivare dal matrimonio. Ciò implica, come risultato, un trattamento deteriore del coniuge del disabile, rispetto ai componenti della famiglia di origine.” Con queste premesse, viene dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’articolo 42, nella parte in cui non prevede la concessione dei congedi retribuiti anche al coniuge della persona con handicap grave. Conseguentemente i congedi devono essere concessi anche al coniuge.
Figli: la Sentenza n. 19 del 26 gennaio 2009, la Corte ha stabilito l’illegittimità costituzionale della norma anche nella parte in cui non prevede la concessione dei congedi ai figli che assistono i genitori conviventi in assenza di altri soggetti idonei a prendersi cura della persona in situazione di disabilità grave.
Pertanto attualmente hanno diritto ai congedi: i genitori, il coniuge, i fratelli e le sorelle conviventi (con le precisazioni sopra indicate) e i figli conviventi (con le precisazioni sopra indicate). Rimangono esclusi dal beneficio i lavoratori che, pur assitendo un familiare con handicap grave e convivano con questi, non siano genitori, coniugi, fratelli o sorelle, o figli. Ad esempio, nipoti, cugini, generi non possono richiedere la concessione dei due anni di permesso retribuito.
LA FRAZIONABILITÀ
L’articolo 42, comma 5, del Decreto Legislativo 26 marzo 2001, n. 151 prevede che i periodi di congedo, al massimo due anni come già detto, possono essere fruiti in modo continuativo o frazionato. Il beneficio è frazionabile anche a giorni interi. Gli Istituti previdenziali non prevedono invece la frazionabilità ad ore. Anche in questo caso, diverse sono le indicazioni degli Istituti previdenziali, soprattutto rispetto al calcolo dei giorni fruiti.
Le indicazioni INPS Nella propria Circolare del 15 marzo 2001, n. 64 l’INPS ha precisato che, ai fini della frazionabilità stessa, tra un periodo e l’altro di fruizione è necessaria – perché non vengano computati nel periodo di congedo straordinario i giorni festivi, i sabati e le domeniche – l’effettiva ripresa del lavoro, requisito non rinvenibile nel caso di domanda di fruizione del congedo in parola dal lunedì al venerdì (settimana corta) senza ripresa del lavoro il lunedì della settimana successiva a quella di fruizione del congedo, e neppure nella fruizione di ferie tra una frazione di congedo e l’altra.
Le indicazioni INPDAP La Circolare 12 maggio 2004, n. 31 precisa che il congedo può essere richiesto anche in modo
frazionato e che, in tal caso, è necessaria l’effettiva ripresa del lavoro tra un periodo di assenza ed il successivo.
LA RETRIBUZIONE, LE FERIE E LA TREDICESIMA
L’articolo 42, comma 5 del Decreto Legislativo n. 151/2001 prevede che questi congedi debbano essere retribuiti con un’indennità corrispondente all’ultima retribuzione percepita e coperti da contribuzione figurativa ai fini pensionistici. L’indennità e la contribuzione figurativa spettano fino ad un importo complessivo massimo di 36.151,98 Euro annue per il congedo di durata annuale. Detto importo è rivalutato annualmente, a decorrere dall’anno 2002, sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati. L’indennità e il contributo figurativo vengono rapportati a mesi e giorni in misura proporzionale, se il congedo è richiesto per periodi frazionati. Su tale aspetto i vari enti previdenziali di riferimento si sono espressi con proprie circolari.
Le indicazioni INPS La questione è affrontata dalla Circolare del 15 marzo 2001, n. 64. L’indennità per il congedo viene corrisposta nella misura dell’ultima retribuzione percepita e cioè quella percepita nell’ultimo mese di lavoro che precede il congedo (comprensiva del rateo per tredicesima mensilità, altre mensilità aggiuntive, gratifiche, indennità, premi ecc.). Nel caso di contratti di lavoro a tempo pieno, la retribuzione del mese preso a riferimento va moltiplicata per 12 e divisa per 365 giorni (366 se le assenze cadono in un anno bisestile), con un limite giornaliero che è rapportato al limite annuo previsto per legge (36.151,98 Euro rivalutati di anno in anno). Se invece si fa riferimento ad un contratto di lavoro a part-time verticale, la retribuzione percepita nel mese stesso va divisa per il numero dei giorni retribuiti, compresi quelli festivi o comunque di riposo relativi al periodo di lavoro effettuato: la retribuzione giornaliera così determinata va raffrontata con il limite massimo giornaliero che è rapportato al limite annuo previsto per legge (36.151,98 Euro rivalutati di anno in anno, a partire dal 2002). Essendo questo tipo di congedo frazionabile anche a giorni, l’indennità viene corrisposta per tutti i giorni per i quali il beneficio è richiesto.
Le indicazioni INPDAP L’INPDAP affronta in problema nella propria Circolare del 10 gennaio 2002, n. 2. Durante il periodo di congedo il richiedente ha diritto a percepire un’indennità, corrispondente all’ultima retribuzione percepita, cioè riferita all’ultimo mese di lavoro che precede il congedo, sempreché la stessa, rapportata all’anno, sia inferiore o pari al limite complessivo massimo di 36.151,98 Euro rivalutati di anno in anno cui viene commisurata la contribuzione figurativa. Nulla di particolare o specifico, nelle disposizioni INPDAP, oltre a quanto già previsto dalla normativa vigente.
Le ferie Le indicazioni relative ai permessi lavorativi, che hanno precisato che questi non incidono negativamente su ferie e tredicesima mensilità, non riguardano purtroppo anche i congedi
retribuiti di due anni. La norma istitutiva non precisa nulla riguardo alla maturazione delle ferie nel corso della fruizione del congedo retribuito. L’INPDAP ha previsto con chiarezza, nella Circolare del 12 maggio 2004, n. 31, che il congedo incide negativamente sulla maturazione delle ferie salvo indicazioni più di favore dei singoli Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro. L’INPS, da parte sua, non dà alcuna indicazione in proposito.
La tredicesima mensilità L’articolo 42, comma 5, del Decreto Legislativo n. 151/2001 prevede che l’indennità per il congedo venga corrisposta nella misura dell’ultima retribuzione ricevuta e cioè quella percepita nell’ultimo mese di lavoro che precede il congedo, comprensiva quindi del rateo per tredicesima mensilità, altre mensilità aggiuntive, gratifiche, indennità, premi ecc. Tale indicazione è ripresa sia dall’INPS (Circolare 15 marzo 2001, n. 64, punto 4) che dall’INPDAP (Circolare 10 gennaio 2002, n. 2). Nell’indennità mensile è quindi già compresa anche la tredicesima. Il fatto che non vengano erogate tredici indennità mensili non deve quindi trarre in inganno.
INCOMPATIBILITÀ E ALTRE CONDIZIONI
La normativa vigente prevede esplicitamente che durante il periodo di congedo entrambi i genitori non possano usufruire dei benefici di cui all’articolo 33 della Legge 104/92, cioè dei permessi lavorativi di tre giorni mensili. Per essere più espliciti: se uno dei due genitori sta fruendo del congedo retribuito di due anni, l’altro non può richiedere la fruizione dei permessi mensili di tre giorni.
La continuità e l’esclusività Vi sono due soli casi in cui per l’accesso ai congedi retribuiti vengono richiesti i requisiti di continuità ed esclusività dell’assistenza. Il primo caso è quello in cui il figlio sia maggiorenne e non convivente con i genitori. Il secondo caso è quello in cui i congedi vengano richiesti dai fratelli o sorelle conviventi con il disabile, dopo la scomparsa dei genitori o nel caso in cui questi ultimi siano inabili totali. In entrambi i casi, il lavoratore deve dimostrare di assicurare l’assistenza in via esclusiva e continuativa. Su tali concetti rimandiamo a quanto esposto nella parte relativa ai permessi mensili.
La convivenza
Come detto il requisito della convivenza è richiesto nel caso il congedo retribuito sia richiesto dai fratelli, dalle sorelle o dai figli della persona con handicap grave.
Il concetto di “convivenza” tuttavia non è stato esplicitato dal Legislatore, né trova nessuna definizione nel Codice Civile. Dopo indicazioni di avviso diverso da parte di INPS, il Ministero del Lavoro ha fornito in modo dirimente, l’esatta interpretazione del concetto di convivenza.
Con la Lettera Circolare del 18 febbraio 2010, Prot. 3884, il Ministero del Lavoro afferma che “al fine di addivenire ad una interpretazione del concetto di convivenza che faccia salvi i diritti del disabile e del soggetto che lo assiste, rispondendo, nel contempo, alla necessità di
contenere possibili abusi e un uso distorto del beneficio, si ritiene giusto ricondurre tale concetto a tutte quelle situazioni in cui, sia il disabile che il soggetto che lo assistite abbiano la residenza nello stesso Comune, riferita allo stesso indirizzo: stesso numero civico anche se in interni diversi.”
Questo significa che i lavoratori che non siano in grado di dimostrare – evidentemente con il certificato di residenza – di abitare presso lo stesso numero civico del familiare da assistere non possono accedere al congedo.
La disposizione del Ministero del lavoro è cogente sia nel comparto pubblico che in quello privato.
I PERMESSI LAVORATIVI LEGGE 104/1992: GLI AVENTI DIRITTO
È necessario comprendere chi siano gli “aventi diritto”, cioè quali siano quei lavoratori che possono richiedere l’accesso ai permessi previsti dall’articolo 33 della Legge 104/1992. È da far notare subito che gli aventi diritto ai permessi lavorativi non sono gli stessi che possono anche richiedere i due anni di congedo retribuito (di cui parliamo nelle pagine successive). Per quella seconda agevolazione la normativa è infatti (per ora) molto più restrittiva. Hanno diritto ai permessi lavorativi retribuiti, con diverse modalità, criteri e condizioni, la madre lavoratrice, o – in alternativa – il lavoratore padre, entro i primi tre anni di vita del bambino; la madre lavoratrice, o – in alternativa – il lavoratore padre, dopo il compimento del terzo anno di vita del bambino disabile e poi a seguire nella maggiore età; i parenti o gli affini che assistono la persona disabile non ricoverata in istituto. Hanno infine diritto ai permessi lavorativi i lavoratori disabili in possesso del certificato di handicap grave. I permessi spettano anche nel caso in cui i genitori siano adottivi o affidatari, in quest’ultimo caso solo nell’ipotesi di disabili minorenni. L’affidamento infatti può riguardare soltanto soggetti minorenni (articolo 2, Legge 149/2001).
Primi tre anni di vita
Entro i primi tre anni di vita del figlio con handicap in situazione di gravità, accertato dalla Commissione dell’Azienda USL prevista dalla Legge 104/1992, la lavoratrice madre, o – in alternativa – il padre lavoratore, ha diritto a prolungare il periodo di astensione facoltativa già prevista dalla legge di tutela della maternità. Il prolungamento dell’assenza facoltativa è coperto da contribuzione figurativa utile ai fini dell’anzianità di servizio. Inoltre, sotto il profilo retributivo, gode di un’indennità giornaliera pari al 30% della retribuzione. Se si sceglie di non fruire di questa opportunità è possibile usufruire di due ore di permesso giornaliero retribuito fino al compimento del terzo anno di vita del bambino. Da questi benefici sono ancora escluse le lavoratrici autonome e quelle che svolgono la propria attività a domicilio o svolgono lavori domestici (Circolari INPS 24 marzo 1995, n. 80,
punto 4, e 15 marzo 2001, n. 64, punto 2; Circolare INPDAP 27 novembre 2000, n. 49). In caso di prestazione di lavoro inferiore alle sei ore giornaliere può essere concessa una sola ora di permesso.
Dopo i tre anni
Dopo il compimento del terzo anno di vita del figlio con handicap grave, la madre, o in alternativa il padre, ha diritto non più alle due ore di permesso, ma ai tre giorni di permesso mensile, che possono essere fruiti in via continuativa ma devono essere utilizzati nel corso del mese di pertinenza. È importante sottolineare che la Legge 8 marzo 2000, n. 53 (articolo 20) ha precisato definitivamente che i permessi lavorativi spettano al genitore anche nel caso in cui l’altro non ne abbia diritto. Ad esempio, quindi, i permessi spettano al lavoratore padre anche nel caso la moglie sia casalinga o disoccupata, o alla lavoratrice madre se il padre è lavoratore autonomo. Non spettano nel caso il richiedente sia impegnato in lavoro domestico o presso il proprio domicilio.
Maggiore età
Dopo il compimento della maggiore età, la lavoratrice madre, o – in alternativa – il lavoratore padre, ha diritto ai tre giorni mensili a condizione che sussista convivenza con il figlio o, in assenza di convivenza, che l’assistenza al figlio sia continuativa ed esclusiva. Sia INPS che INPDAP – pur con diverse modulazioni – hanno ripreso nelle loro circolari queste indicazioni. Anche in questo caso i permessi lavorativi spettano al genitore anche nel caso in cui l’altro non ne abbia diritto.
Parenti, affini e coniuge
L’articolo 33 della Legge 104/1992 prevede che i permessi di tre giorni possano essere concessi anche a familiari diversi dai genitori del disabile grave accertato tale con specifica certificazione di handicap (articolo 3, comma 3, della Legge 104/1992) dall’apposita Commissione operante in ogni Azienda USL. È bene precisare che i permessi spettano ai parenti e agli affini entro il terzo grado di parentela e affinità. La condizione è comunque che l’assistenza sia prestata in via continuativa ed esclusiva, anche in assenza di convivenza, come precisato dalla Legge 8 marzo 2000, n. 53 (articolo 19). Merita di ricordare che l’affinità – ai sensi dell’articolo 78 del Codice Civile – è il vincolo tra un coniuge e i parenti dell’altro coniuge. In sostanza, con il matrimonio, i parenti di un coniuge diventano affini dell’altro coniuge, ma gli affini dell’uno non divengono anche affini dell’altro. È quasi superfluo precisare, anche se INPS e INPDAP lo hanno dovuto chiarire, che i permessi spettano anche al coniuge della persona con handicap pur non essendo né parente né affine.
I permessi non spettano nel caso il richiedente sia impegnato in lavoro domestico o presso il proprio domicilio e non spettano se il disabile è ricoverato a tempo pieno.
Amministratori di sostegno e tutori
Il tutore o l’amministratore di sostegno che assista con sistematicità ed adeguatezza la persona con handicap grave può – ad oggi – ottenere i permessi lavorativi solo se è anche il coniuge o un parente o un affine fino al terzo grado della persona con handicap grave. Lo ha chiarito, con la Risoluzione 41 del 15 maggio 2009, il Ministero del Lavoro. A parere della Direzione Generale per l’Attività Ispettiva del Ministero del Lavoro quei benefici lavorativi non possono essere concessi nemmeno nel caso in cui l’amministratore di sostegno o il tutore assicurino l’assistenza con continuità ed esclusività o con sistematicità ed adeguatezza. Ricorda il Ministero che la platea dei beneficiari è rigidamente disciplinata dal Legislatore e che le uniche variazioni sono state previste dalla Corte costituzionale (peraltro per i beneficiari dei congedi retribuiti biennali).
Lavoratori con handicap
I lavoratori disabili, in possesso del certificato di handicap con connotazione di gravità, possono richiedere due tipi di permessi: un permesso pari a due ore giornaliere, oppure tre giorni di permesso mensile. Dopo una serie di pareri e sentenze di segno opposto, la Legge 8 marzo 2000, n. 53 ha definitivamente chiarito (articolo 19) che i due tipi di permesso non sono fra loro cumulabili, ma sono alternativi: o si usufruisce dei tre giorni di permesso oppure delle due ore giornaliere. Per gli assicurati INPS una Circolare (n. 133/2000, punto 1) ammette che la variazione da fruizione a ore a fruizione in giornate e viceversa possa essere eccezionalmente consentita, anche nell’ambito di ciascun mese, nel caso in cui sopraggiungano esigenze improvvise, non prevedibili all’atto della richiesta di permessi, esigenze che, peraltro, devono essere opportunamente documentate dal lavoratore. Indicazioni analoghe vengono fornite dalla Circolare INPDAP 9 dicembre 2002, n. 33: «Alcuni contratti collettivi di lavoro (es. art. 9, comma 3, del CCNL del Comparto dei Ministeri, stipulato in data 16.2.99) hanno introdotto, rispetto alla previsione normativa, l’ulteriore agevolazione della frazionabilità ad ore dei permessi a giorni, di cui al comma 3 dell’art. 33 della legge 104/92, allo scopo di consentire al personale beneficiario una più efficace soddisfazione dell’interesse tutelato. Pertanto, sotto il profilo delle modalità di utilizzo, il dipendente non incontra alcun limite prestabilito. È, quindi, possibile, eccezionalmente, nel caso in cui dovessero sopraggiungere esigenze improvvise, non prevedibili all’atto della richiesta dei permessi, variare anche nell’ambito di ciascun mese la programmazione già effettuata in precedenza. Pertanto, nei casi in cui il dipendente intenda fruire nello stesso mese sia di permessi orari che di quelli giornalieri, si procederà alla conversione in giorni lavorativi delle ore di permesso fruite, che quindi andrà a ridurre il numero dei giorni di permesso mensile spettanti, previsti dalle specifiche norme
contrattuali di settore. Solo un residuo di ore non inferiore alla giornata lavorativa dà il diritto alla fruizione di un intero giorno di permesso». Anche in questo caso va ricordato che i permessi non spettano nel caso il richiedente sia impegnato in lavoro domestico o presso il proprio domicilio.
IL PREPENSIONAMENTO DEI LAVORATORI DISABILI
La pensione anticipata di vecchiaia
Il Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 503 (articolo 1, comma 8) prevede la possibilità per i lavoratori con invalidità non inferiore all’80%, di anticipare l’età pensionabile (pensione di vecchiaia) a 55 anni per le donne e a 60 per gli uomini.
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 13495/2003, ha ribadito che tale opportunità spetta con una invalidità pari o superiore all’80%, comprese le persone con sordità prelinguale, statuendo inoltre che l’invalidità da considerare è quella civile come definita dal Decreto del Ministero della Sanità 5 febbraio 1992.
Diverso il trattamento per i lavoratori non vedenti. Nel loro caso è ancora vigente il limite di età è di 50 anni per le donne e di 55 per gli uomini (art. 9, Legge 218/1952, confermato dall’art. 1, comma 6, Decreto Legislativo n. 503/1992).
Contributi figurativi per il prepensionamento
La Legge 23 dicembre 2000, n. 388 (articolo 80, comma 3) consente ai lavoratori sordomuti e agli invalidi per qualsiasi causa (ai quali sia stata riconosciuta un’invalidità superiore al 74 per cento o assimilabile) di richiedere, per ogni anno di lavoro effettivamente svolto, il beneficio di due mesi di contribuzione figurativa. Il beneficio è riconosciuto fino al limite massimo di cinque anni di contribuzione figurativa utile ai fini del diritto alla pensione e dell’anzianità contributiva. Pertanto, usufruendo di questa opportunità, il lavoratore invalido o sordomuto può raggiungere il diritto ad andare in pensione con cinque anni di anticipo. L’entrata in vigore di questa agevolazione è stata fissata al 1 gennaio 2002. È il caso di precisare che la disposizione non riguarda i lavoratori parenti di persone con handicap grave. L’INPS (n. 29 del 30 gennaio 2002) e l’INPDAP (n. 75 del 27 dicembre 2001) hanno diramato sull’argomento proprie circolari applicative.
Le indicazioni INPS
L’INPS nella propria Circolare (29/2002) ha evidenziato alcune rilevanti precisazioni. Si conferma che vengono concessi due mesi di contributi figurativi per ogni anno effettivamente lavorato, fino ad un massimo di 5 anni di contributi figurativi. Se un dipendente ha lavorato per 30 anni, si vedrà riconoscere 60 mesi (5 anni) di contributi
figurativi. I contributi figurativi si applicano solo agli anni lavorati in quanto invalidi civili con percentuale superiore al 74% (o assimilabile per le altre invalidità) o in quanto sordomuti. Per gli anni, pur lavorati, in cui il lavoratore non era stato riconosciuto invalido o lo era in misura inferiore al 74%, la concessione dei contributi figurativi non è ammissibile. Il beneficio di due mesi di maggiorazione per ogni anno di servizio è utile ai fini della determinazione dell’anzianità contributiva e dell’anzianità assicurativa, quindi incide positivamente anche sull’ammontare della pensione che il lavoratore riceverà. La maggiorazione non è riconoscibile ai fini del raggiungimento dei requisiti contributivi connessi con l’acquisizione di un diritto diverso da quello della pensione, quale il diritto alla prosecuzione volontaria.
Le indicazioni INPDAP
L’INPDAP, l’Istituto che assicura buona parte dei dipendenti pubblici, dà indicazioni analoghe a quelle fornite dall’INPS in merito al trattamento economico e alle condizioni generali. Dalla lettura della norma originaria (Legge 388/2000) permaneva inoltre il dubbio legato alla decorrenza del calcolo dei contributi figurativi. Ci si chiedeva cioè se si dovesse iniziare a calcolare i due mesi di contributi dall’inizio della carriera lavorativa oppure dal momento in cui il lavoratore si era visto riconoscere l’invalidità. L’INPDAP adotta esplicitamente questa seconda lettura. Quindi, per fare un esempio, se un lavoratore si è visto riconoscere l’invalidità civile superiore al 74% solo nel 1991, pur avendo iniziato a lavorare nel 1978, l’inizio del computo dei due mesi decorrerà dal 1991 e non dal 1978. Fanno fede le certificazioni rilasciate dalle Commissioni preposte all’accertamento delle invalidità (civile, di guerra, di servizio), le dichiarazioni degli Uffici del Lavoro relative ad iscrizioni di invalidi o sordomuti negli elenchi provinciali degli aspiranti al collocamento obbligatorio, i documenti di invalidità sul lavoro rilasciati dall’INAIL o dall’IPSEMA, i provvedimenti amministrativi di concessione dell’invalidità di guerra, l’invalidità civile di guerra e per causa di servizio. Un’indicazione particolare riguarda poi quegli invalidi civili che, per effetto dell’articolo 9 del Decreto Legislativo 23 novembre 1988, n. 509, hanno ottenuto l’elevazione della riduzione della capacità lavorativa da due terzi al 74%. Ricordiamo che quell’articolo aveva elevato il limite di invalidità civile, previsto per l’erogazione dell’assegno mensile di assistenza, da 67% al 74% facendo però salvi i diritti acquisiti dagli invalidi che già godevano di quella provvidenza. L’INPDAP precisa che hanno diritto ai benefici in questione solo quegli invalidi che siano in possesso di una certificazione di invalidità effettiva e dichiarata superiore al 74%. Una successiva Circolare INPDAP (8 luglio 2003, n. 36) ha precisato che nel caso vi sia un miglioramento delle condizioni generali del lavoratore tali da comportare una riduzione dell’invalidità riconosciuta inferiore al 74%, i contributi figurativi vengono computati limitatamente al periodo in cui era certificata la percentuale di invalidità richiesta. Per i lavoratori sordomuti invece il calcolo inizia sempre dalla data di avvio dell’attività
lavorativa; tale disposizione è motivata dalla definizione stessa di sordomutismo che è acquisito prima della nascita o durante l’età evolutiva.
LE PENSIONI E GLI ASSEGNI PER INABILITÀ E INVALIDITÀ LAVORATIVA
La normativa vigente ha previsto misure previdenziali a favore dei lavoratori dipendenti, autonomi o parasubordinati che si trovino, una volta assunti, in condizioni di disabilità più o meno accentuata e più o meno incidente sulla loro capacità di svolgere le mansioni assegnate o qualsiasi tipo di attività lavorativa. Si tratta di trattamenti pensionistici diversi da quelli di invalidità civile (che sono assistenziali), di invalidità sul lavoro, o per cause di servizio. Vengono considerate quelle patologie, infermità o affezioni che insorgono dopo l’assunzione o che si aggravano nel corso dell’attività lavorativa.
Prendiamo in esame le provvidenze erogate dai due maggiori istituti previdenziali: INPS (dipendenti privati e buona parte dei dipendenti autonomi e parasubordinati) e INPDAP (dipendenti pubblici).
INPS – Assegno ordinario di invalidità lavorativa L’assegno ordinario di invalidità lavorativa (IO) viene riconosciuto ai lavoratori dipendenti, parasubordinati e autonomi, che siano iscritti all’assicurazione generale INPS. I lavoratori devono essere affetti da una infermità permanente di natura mentale o fisica tale da essere causa di una riduzione permanente di due terzi della capacità lavorativa in occupazioni confacenti alle attitudini del lavoratore. Le condizioni sanitarie vengono accertate dai medici delle Sedi INPS.
Una volta riconosciuta l’infermità invalidante, l’assegno ordinario viene riconosciuto per tre anni. Su domanda dell’interessato e accertamento della permanenza dello stato invalidante, l’assegno può essere confermato per altri due periodi di tre anni. Dopo il terzo riconoscimento consecutivo, l’assegno ottiene una conferma definitiva. L’assegno viene concesso anche se si continua a lavorare. In questo caso ogni anno il lavoratore viene sottoposto a verifica sanitaria. La domanda di revisione può essere presentata anche dall’interessato.
Per richiedere l’assegno ordinario di invalidità è necessario essere assicurati presso l’INPS da almeno 5 anni, contare su un’anzianità contributiva pari ad almeno 5 anni (260 contributi settimanali), dei quali almeno tre anni (156 contributi settimanali) siano stati versati negli ultimi cinque anni.
L’assegno ordinario di invalidità è incompatibile con l’indennità di mobilità (rimane la facoltà di opzione del trattamento più favorevole), e i trattamenti di disoccupazione. L’assegno, non è inoltre cumulabile con le rendite vitalizie erogate dall’INAIL in caso di infortunio sul lavoro o malattia professionale, o con le provvidenze per invalidità civile, se è riferito alla stessa causa.
I periodi in cui il lavoratore ha fruito dell’assegno (se non ha contributi da lavoro), viene considerato utile per il raggiungimento del diritto alla pensione di vecchiaia. Con il raggiungimento dell’età pensionabile, l’assegno viene trasformato in pensione di vecchiaia, purché l’interessato possegga i requisiti contributivi previsti.
La domanda per l’assegno ordinario di invalidità va inoltrata alla sede INPS competente. Si consiglia, per queste pratiche e per un valutazione preliminare, di appoggiarsi ad un patronato sindacale che potrà anche effettuare un calcolo della possibile pensione. Nei casi in cui le domande siano rigettate è possibile presentare ricorso entro 90 giorni dalla comunicazione del rigetto. Il ricorso va presentato al Comitato Provinciale INPS; anche in questo caso si suggerisce di appoggiarsi ad un patronato sindacale.
INPS – Pensione di inabilità lavorativa La pensione di inabilità lavorativa viene riconosciuta ai lavoratori dipendenti, parasubordinati o autonomi iscritti all’assicurazione generale INPS. I lavoratori devono essere affetti da una infermità o una patologia che sia causa della permanente impossibilità a svolgere qualsiasi lavoro. Tale condizione può essere anche preesistente all’assunzione. La pensione può essere soggetta a revisione. Se viene accertato il recupero della capacità lavorativa, la pensione può essere revocata. Per richiedere la pensione di inabilità lavorativa è necessario essere assicurati presso l’INPS da almeno 5 anni, contare su un’anzianità contributiva pari ad almeno 5 anni (260 contributi settimanali), dei quali almeno tre anni (156 contributi settimanali) siano stati versati negli ultimi cinque anni.
Il godimento della pensione di inabilità lavorativa è incompatibile con lo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa dipendente nonché con l’iscrizione agli albi professionali, o agli elenchi degli operai agricoli e dei lavoratori autonomi quali artigiani, commercianti, coltivatori diretti. La pensione non è, inoltre, cumulabile con le rendite vitalizie erogate dall’INAIL in caso di infortunio sul lavoro o malattia professionale, o con le provvidenze per invalidità civile, se è riferito alla stessa causa.
La pensione viene calcolata aggiungendo all’anzianità contributiva maturata, contributi sufficienti a coprire il periodo mancante al raggiungimento dell’età pensionabile, fino ad un massimo di 40 anni di contributi totali.
A chi è stato riconosciuto il diritto alla pensione di inabilità, può essere concesso, su richiesta, l’assegno mensile per assistenza personale e continuativa La condizione sanitaria prevista è l’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore oppure necessitano di assistenza continua non essendo in grado di compiere gli atti quotidiani della vita.
L’assegno non spetta non viene erogato nel caso di ricovero in istituto se la retta è a carico dello Stato o di enti pubblici.
La domanda per la pensione di inabilità e per l’assegno mensile va inoltrata alla sede INPS competente. Si consiglia, per queste pratiche e per una valutazione preliminare, di appoggiarsi ad un patronato sindacale che potrà anche effettuare un calcolo della possibile pensione. Nei casi in cui le domande siano rigettate è possibile presentare ricorso entro 90 giorni dalla comunicazione del rigetto. Il ricorso va presentato al Comitato Provinciale INPS; anche in questo caso si suggerisce di appoggiarsi ad un patronato sindacale.
INPDAP – Pensione per inabilità assoluta e permanente a qualsiasi attività lavorativa La pensione per inabilità assoluta e permanente a qualsiasi attività lavorativa spetta a quei dipendenti pubblici a cui sia stata accertata una incapacità totale a svolgere qualsiasi attività lavorativa, per infermità fisiche o mentali che non derivino da cause di servizio.
Per richiedere la pensione di inabilità lavorativa è necessario contare su un’anzianità contributiva pari ad almeno cinque anni, dei quali almeno tre anni siano stati versati nel quinquennio precedente la cessazione dell’attività lavorativa.
La pensione viene calcolata aggiungendo all’anzianità contributiva maturata, contributi sufficienti a coprire il periodo mancante al raggiungimento dell’età pensionabile, fino ad un massimo di 40 anni di contributi totali. Non può inoltre superare l’importo della pensione che sarebbe erogata nel caso di invalidità derivante da cause di servizio.
La domanda di pensione va inoltrata, tramite il datore di lavoro, alla direzione provinciale dell’INPDAP allegando un certificato rilasciato dal medico curante attestante la permanente ed assoluta inabilità a svolgere qualsiasi attività lavorativa. Le condizioni sanitarie vengono valutate dalle Commissione Mediche Ospedaliere Militari.
Il godimento della pensione è incompatibile con lo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa dipendente o autonoma.
INPDAP- Pensione per inabilità assoluta e permanente a qualsiasi proficuo lavoro La pensione per inabilità assoluta e permanente a qualsiasi proficuo lavoro spetta a quei dipendenti pubblici a cui sia stata accertata una incapacità derivante da infermità fisiche o mentali che impediscano una collocazione lavorativa continuativa e remunerativa. Si tratta di una condizione meno invalidante di quella prevista per la pensione per inabilità assoluta e permanente a qualsiasi attività.
I requisiti retribuitivi richiesti sono, infatti, più impegnativi: questa pensione viene erogata se il lavoratore è in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 14 anni, 11 mesi e 16 giorni di servizio utile, anche non continuativo.
La pensione per inabilità assoluta e permanente a qualsiasi proficuo lavoro è calcolata sulla base della effettiva anzianità contributiva maturata. Non viene prevista alcuna maggiorazione.
La domanda di pensione va inoltrata, tramite il datore di lavoro, alla direzione provinciale dell’INPDAP allegando un certificato rilasciato dal medico curante attestante la permanente ed assoluta inabilità a svolgere qualsiasi proficuo lavoro o le mansioni assegnate. Le condizioni sanitarie vengono valutate dalle Commissioni mediche presso le Aziende Usl.
INPDAP – Trattamenti pensionistici per Inabilità assoluta e permanente alle mansioni svolte I dipendenti pubblici (in modo differente fra dipendenti statali e quegli degli enti locali) possono richiedere il “prepensionamento” nel caso abbiamo un’infermità permanente, fisica o mentale che incide sulle mansioni lavorative assegnate. Accertata questa condizione, l’amministrazione deve tentare di collocare il lavoratore in un’altra mansione dello stesso livello, anche retributivo. Se non viene trovata un’altra mansione idonea, il lavoratore viene dispensato dal servizio o collocato a riposo.
La relativa pensione viene erogata solo se sussistono determinati requisiti contributivi. I dipendenti degli enti locali devono contare su contributi almeno pari a 19 anni, 11 mesi e 16 giorni di contribuzione. I dipendenti delle amministrazioni statali devono contare su contributi almeno pari a 14 anni, 11 mesi e 16 giorni. In entrambi i casi si prescinde dall’età anagrafica.
La domanda va inoltrata, tramite il datore di lavoro, alla direzione provinciale dell’INPDAP. Le condizioni sanitarie vengono valutate dalle Commissioni mediche presso le Aziende Usl.